La rocca.

Sulle colline
È ferma
Nel suo severo
Rigore
La rocca.
Pietre,
Che disegnano
La storia,
Sguardo
A lago,
Nel tempo
Imperiture.
Nel breve
Sprazzo
D’antico
Splendore,
Tanta
Autorevolezza
Mi rapisce:
Come
un’ ardente
Solista
Lascia
Nel vento
La sua
Gloriosa
Canzone.


Nella foto: castello di Moniga del Garda.

Il quadro.

Cantano le stelle
Nelle notti senza luna
E la vita,
Come un ladro,
Nel buio s’agita
Sicura
E certa
Del proprio sentore.
Complici ignare
Vita e stelle
Compiono
Lo stesso cammino
Nel quadro gentile
Che il pennello
Racconta.
Lo sguardo non tralasci
Quel piccolo particolare,
Nel contrasto
Di luci ed ombre
Che i colori impastano.


Nella foto: notte stellata sul Rodano, Vincent Van Gogh.

Di me.

Se ne andarono via
Senza voltarsi indietro
Lasciandomi fermo
Come un’ombra sull’asfalto,
I miei amori.
Muovero’ i miei passi
Oltre il deserto cittadino
E cancellerò ’ quell’ombra
Per ritrovar me stesso
Nel baule dei ricordi
Ubriaco d’antiche melodie.

Attesa.

Alle soglie della notte
Arrancano gli ultimi bagliori
Dietro la montagna.
Tra lunghe ombre combattono
Una fiera,
Perdente,
Battaglia.
Vincitrice
La notte estenderà le tenebre
Ed il buio mistero
Oltre i confini del giorno stanco
Fin dove i sogni incontrano le stelle
E senza polvere s’accendono
D’eterna pulsione.
Resterò vigile ed attento,
Ancora una volta
Nel mio silente vegliare,
Faticoso,
Ansioso quasi,
Ma senza timore,
Ad attendere l’ignoto.

Miele.

Voglia di miele,
Tra arnie felici
Di api operose
Che vacue attitudini
All’ inutilità
Ignorano.

Ho voglia di miele,
Quel nettare
Che da cervelli puliti
Sgorga
Senza macchiare
La mensa apparecchiata.

Ho il sangue alla testa,
Tra stupidi giocolieri
Che lascian frasette,
Stupide anch’esse,
Su stupidi cellulari.

Balsamo terapeutico
Quel miele,
Sarebbe cuscino
A parar le orride sassate
Che forano il mio fianco.

Carlo Finazzi.

Dolce sera, mondo.

Il mio passo.

È come un’eco leggera
Che sovrasta su un’umida steppa
Di terre lontane
Questo tip-tap
Che risponde al mio passo.
Il prima che torna nel poi
A segnare il presente.
E nel dialogo gentile,
Nel notturno cammino,
Ritrova se stesso
Il mio passo.

Inquietudine.

Sorge inquietudine
Quando nel cielo
Il sole
La nebbia oscura.
Gocciole di brina
Raggelano il cuore
Con il prato,
Incannucciato e candido
Come landa di cristallo.
Non v’è calore
Nel monocromatico quadro
Che l’inverno impone,
Solo un brivido.
Che la carne tormenta.

Quanto vorrei…

Dietro le spalle
Qualche pugno di cenere
Custodisce il mio passato.

Davanti
Qualche ombra
Che in una steppa desolata annaspa,
Si agita a mostrar la via
Che nell’invernale bruma si perde.

Ai lati
Lo sfregiato presente
L’anima nell’eco di antiche purezze cinge
Ove i fantasmi hanno vita
E camminano con me.

Un flauto
Il suo lamento da una taverna lancia
Ed io fuori al freddo,
Nella strada vuota di brina imbiancata,
Lungo i percorsi del mio adesso.

Quanto vorrei
Tornare sui miei passi…

Nel mio silenzio.

La freccia scoccata dal destino
Non trapassa la gola del mio silenzio.
La’ fuori, nel buio,
Il fragore di gente in festa
E fresca brezza del lago
A ricordar la vita.
Io dentro il silenzio,
Come bestia trafitta in una cella,
Affido il respiro al sangue che corre
Lungo i canali di una sigaretta.
E volute di fumo.
Piccole nuvole bianche
Di nulla.
O di tutto.
Qui dentro,
Nel mio silenzio.

A Sirmione.

La notte
Che travasa nella sera
E’ un alambicco
Di tenebra blu
Che spegne l’azzurro
Dove impera Sirmione.
S’accendono le fiaccole.
Tendo le braccia,
Le posso accarezzare.
Catullo mi attende
Per togliermi dall’oscurità
E brinderemo a Lesbia.
Stanotte.