Svapora
Il mio spirito
Quando
Nel silenzio
Il tuo nome
La mia irsuta
Mano
Lascia
Nell’ombra
L’indelebile
Segno
Di un’appena
Accennata
Esistenza.
Gabbiani.
Come modelle all’artista
Gabbiani
Sul medesimo scoglio poggiati.
Identica la foggia,
La stessa immobilita’.
Becchi che nell’aria
Svettan fieri
E candide piume
A riflettere il sole,
La festa del sussiego pare.
O dell’alterigia.
O del riserbo.
D’un amico gentile
L’attento sguardo
Puo’ coglierne l’essenza,
Ma per la moltitudine
Di una comune cartolina trattasi,
Che distrattamente si guarda
Prima di muovere più in là,
Non merita infondo
Troppa attenzione..
Fame di te.
Ancor più delle stelle
E della luna
Ho fame di te
In questa notte di pioggia.
Il vino, rosso rubino,
Accanto al caminetto
Attende
E tanto breve è la vita
Che una benedizione
L’assenza di sonno pare.
Fuori
Un buco nero
Il resto del mondo
Inghiotte,
A noi
Uno scampolo di felicità
E’ dato,
Sino a quando all’arder del fuoco
Di merletto una culotte
Sul pavimento giacerà.
A mia madre.
Istambul.
Volatile è il raki’,
Nell’aroma di anice
che tutto pervade
In questa stanza
Ai confini del creato.
Istambul è lontana,
E quel tempo,
Cosi’ lontano…
Parlo la mia lingua
Ma il turco s’espande
Nell’articolata ebbrezza
Che la sera mi coglie.
E’ vana l’attesa,
Del Bosforo
Il battello non passerà
E i tetti rossi
Nelle pupille impressi,
Muovon soltanto
Da una logora fotografia.
Sterile celebrazione.
Il giorno d’autunno
Sgrana le ore di un freddo rosario
Sul lago che tavolozza non è.
Manca colore alla mensa del sole,
E’ un sacro rito senza eucarestia.
D’istinto alla supplica m’abbandono
Ma le mani in preghiera
Rabbrividiscono al tramonto.
Sostando nell’insolito tempio
Assisto e consumo
Una sterile celebrazione.
Rimpianto.
Il rimpianto della valle
E’ uno sputo in faccia
All’allegria.
E’ di alberi intirizziti
Che al lago invocan protezione
Il rimpianto,
Il sole è freddo.
Una folata di vento
Improvvisa
Una coppia d’invereconde anatre
Oltre le canne trascina
Ma la copula non interrompe.
Almeno qualcosa
Prescinde il rimpianto
In questo freddo autunno.
Sirmione.
Si leva e tramonta il sole
All’orizzonte di Sirmione.
Da levante a ponente,
Basta volgere lo sguardo.
Come Catullo,
Che del glande ne ha fatto
La sua casa,
Nell’increato gioco
Che del lago la penetrazione
Ha scritto del Benaco la storia,
La virilità della penisola
Mi appartiene.
E tra le braccia dorate dell’aurora,
O infuocate del tramonto,
Tra gabbiani in amore
Vessilli che nell’aria svettano,
Valerio ed io,
A Lesbia
Cantiamo una canzone.