La furia del vento
Che frusta i miei calzoni
Ricorda tumulti
Di ben diversa natura.
Il cielo,
Zafferano,
Da scure sfere tagliato,
Un quadro di Chagal.
Proscenio innaturale
Questo vuoto porticciolo…
Del gabbiano una penna
Mi colpisce,
Ma non trafigge la gola
Cotanto silenzio
Che a casa porterò.
L’accusa
Avanza la notte
In questo argenteo plenilunio
E l’insonnia con lei,
Di malinconici arzigogoli condita.
Trepidazioni antiche.
Pulsioni e febbricitanti percezioni
Raccontano la storia del mio tempo
Sul cuscino arido di carezze
Ed umido di caldo sudore
Al vuoto silenzio del letto abbandonato,
Senza sonno,
Senza la brezza di un sorriso,
Senza sentimento.
Ma l’alba, quant’e’ lontana?
Potessi toccarla…
E berla dalle fessure della vita
Che accompagnano attimi sereni,
In un fremito di gioia
Sarei contento.
E l’enciclopedia britannica è la’,
Pregna del suo sapere.
Lambiccata e pesante
Mi osserva,
Mi studia.
E chiusa tra valve ermetiche
D’antica e nuova conoscenza,
D’ignoranza
Impenetrabile m’accusa.
Danzeremo, stanotte
L’ombra
Un sasso nel lago
A te
A mio padre
Parleremo un giorno
Del travaglio del tempo,
Di placente lacerate,
Di voci interrotte di bimbi,
Di gocce d’umanità
Asciugate dalla polvere
Del deserto
Dell’arido cuore.
Parleremo un giorno,
Certo,
Quando il tempo
Dall’urgenza sarà fuggito
Nel limbo che tutto include
E ove tutto risuona
D’originale peccato,
Senza rimorsi.
Parleremo un giorno
Del tempo,
Quando il tempo
Sarà fuggito.
[Nella foto: mio padre, Giovanni Finazzi. 1927-1974]
Andar per gl’anni
Andar per gl’anni
Tra incantati rivoli
Di giuochi mai detti,
Tra riverberi di sogni inevasi
E lunghe corse
Tra gioie ed affanni
Quando dal cuore un grido nasce
Sino al prodigio d’un cielo stellato
Andar per gl’anni
Di vite intrecciate
Le trame scorrendo
In palpabili amori
E perverse lussurie
Di inquietudini lascive
Quando su mano lieve sgorga
Il dolcissimo unguento
E quando il tempo finisce
E quando il tempo rinasce
Andar per gl’anni
È ardente realtà.