All’imbrunire.

Seduto nel mio giardino
Di Schubert all’imbrunire
Ho ascoltato una sonata.

Immenso il giardino,
Lo spirito e’ immenso.

Danzano le rose,
Mi prendono per mano,
Ed una tazza di the
Con garbo le note bagnando
Magnifica rende
La mia inquietudine.
Nel schubertiano distillato
Che nell’aria mi consola.

Poveri i miei cari.

Poveri i miei cari
Cosi’ al silenzio spinti
Oltre una lapide di marmo.
Quanto amore e quanta gioia
E quanta mestizia
In cenere polverosa
A coprir ferite sul mio cuore…
Raccolto in preghiera
Dal vento tra i cipressi
Care mi giungono le voci
E un pietoso velo
Sugl’occhi calato
in certezze d’amore
Solennemente m’allontano.

Di me.

Dalla pianta
Una melagrana
Ho colto
Ma non inciderò
La scorza.
Troppo bella
Per essere ferita
I grani rubini e succosi
Come preziose gemme
Nel suo grembo
Potranno riposare.
Ad altri grani,
D’un altro rosario,
Dedichero’ il mio tempo,
Gemme azzurre sgranando
Come strusciar
Della Vergine
Il suo manto.

Gabbiani.

Come modelle all’artista
Gabbiani
Sul medesimo scoglio poggiati.
Identica la foggia,
La stessa immobilita’.
Becchi che nell’aria
Svettan fieri
E candide piume
A riflettere il sole,
La festa del sussiego pare.
O dell’alterigia.
O del riserbo.
D’un amico gentile
L’attento sguardo
Puo’ coglierne l’essenza,
Ma per la moltitudine
Di una comune cartolina trattasi,
Che distrattamente si guarda
Prima di muovere più in là,
Non merita infondo
Troppa attenzione..

Fame di te.

Ancor più delle stelle
E della luna
Ho fame di te
In questa notte di pioggia.
Il vino, rosso rubino,
Accanto al caminetto
Attende
E tanto breve è la vita
Che una benedizione
L’assenza di sonno pare.
Fuori
Un buco nero
Il resto del mondo
Inghiotte,
A noi
Uno scampolo di felicità
E’ dato,
Sino a quando all’arder del fuoco
Di merletto una culotte
Sul pavimento giacerà.

A mia madre.

Il silenzio mostrami
Del tuo mondo.
Quanto parlano
Nel tuo mondo
Le cose?

Io sono qui,
Il tuo linguaggio
Insegnami.

Di te, profumo e calore
Gia’ mi fan cogliere l’essenza
Ma nel logos l’amore fluisce
E canta,
Due essenze posson conversare.

Io sono qui,
E voglio imparare.

Istambul.

Volatile è il raki’,
Nell’aroma di anice
che tutto pervade
In questa stanza
Ai confini del creato.
Istambul è lontana,
E quel tempo,
Cosi’ lontano…
Parlo la mia lingua
Ma il turco s’espande
Nell’articolata ebbrezza
Che la sera mi coglie.
E’ vana l’attesa,
Del Bosforo
Il battello non passerà
E i tetti rossi
Nelle pupille impressi,
Muovon soltanto
Da una logora fotografia.

Sterile celebrazione.

Il giorno d’autunno
Sgrana le ore di un freddo rosario
Sul lago che tavolozza non è.
Manca colore alla mensa del sole,
E’ un sacro rito senza eucarestia.
D’istinto alla supplica m’abbandono
Ma le mani in preghiera
Rabbrividiscono al tramonto.
Sostando nell’insolito tempio
Assisto e consumo
Una sterile celebrazione.

Rimpianto.

Il rimpianto della valle
E’ uno sputo in faccia
All’allegria.
E’ di alberi intirizziti
Che al lago invocan protezione
Il rimpianto,
Il sole è freddo.
Una folata di vento
Improvvisa
Una coppia d’invereconde anatre
Oltre le canne trascina
Ma la copula non interrompe.
Almeno qualcosa
Prescinde il rimpianto
In questo freddo autunno.